opere/costellazioni

opere/costellazioni

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DAL 28/01/2024
al 21/04/2024

Michelangelo Consani / Emanuele Becheri
OPERE / COSTELLAZIONI
testo di Francesco Carone

Inaugurazione

domenica 28 gennaio dalle 11:00 alle 20:00

dal 28 gennaio al 21 aprile 2024

La Galleria ME Vannucci è lieta di presentare A due #2: Opere/Costellazioni, il secondo capitolo di una serie di dialoghi e incontri che creano un ponte tra artisti della galleria e figure selezionate direttamente da loro o individuate per affinità elettive. Questo progetto mira a esplorare la ricerca artistica come mezzo per riflettere sul presente da diverse prospettive.

Michelangelo Consani (Livorno, 1971), che inizia a collaborare con la galleria ME Vannucci nel 2021 con la mostra personale "Attraversò il campo di patate senza farsi alcun male", curata da Pier Luigi Tazzi, coinvolge in A due l'artista Emanuele Becheri (Prato, 1973). I due artisti, a loro volta, invitano l'artista e amico Francesco Carone a contribuire alla mostra con un testo.
Opere/Costellazioni rappresenta un invito a riflettere sulle tracce della scultura, e tale dialogo non a caso è iniziato da una conversazione quando i due artisti si sono ritrovati a lavorare in una fonderia ognuno alla propria opera. Da quel momento il dialogo si è aperto ragionando sui materiali "classici" della sculturae non solo. In occasione poi dell'esposizione al Museo d’Inverno (un progetto di Francesco Carone e Eugenia Vanni nella sede della Contrada della Lupa di Siena dove ospitano periodicamente artisti chiamati non a esporre le loro opere ma la loro collezione), entrambi hanno presentano un'opera dell'altro, sottolineando la stima reciproca.

TESTO DI FRANCESCO CARONE

PROLOGO
(ad uso personale)

Credo sia stato mio nonno ad accompagnarmi per primo in un museo, in uno di quelli scientifici, con le sue eterogenee collezioni fatte di polvere e formaldeide, con lunghi corridoi vuoti dove rimbomba il passo ed il pensiero, uno dei primi baci, un forte temporale che fa saltare la luce lasciandoti solo tra le teche violentate dai fulmini e la voglia di restare immobile, di scappare, di rubare o di nasconderti tra i felini ed i primati, il tempo dilatato, quello perso e quello che m’illudevo non aver mai fine. Tornata la luce, il ricordo di uno dei miei primi disegni dal vero: il riflesso del mio volto sull’occhio nero, profondissimo e abissale, di una femmina di merlo che ancora oggi mi osserva dal suo ramo, nella vetrina al secondo piano di quel museo della mia infanzia.


PRIMO GIORNO
(il museo)

Negli anni a seguire ho compreso, rinnegato, modificato, mentito, ricordato -per poi scordarlo e nuovamente ricordarlo- il valore dei musei, fingendo in modo ipocrita che davvero ne esista uno collettivo e universale prima che individuale.
Li ho visitati, studiati e sognati, vi ho lavorato, vi ho esposto, li ho progettati, restaurati, sovrintesi, ne ho scritto e con Eugenia Vanni, nel 2016 ne ho fondato uno a Siena: il Museo d’Inverno.
Al Museo d’Inverno invitiamo gli artisti a presentare le loro collezioni d’arte private e personali; gli chiediamo cioè di raccontarsi attraverso tutte quelle opere di altri autori che hanno deciso di conservare e magari tenere appese alle pareti di casa o del loro studio. Il Museo d’Inverno così facendo vuole mettere in evidenza i rapporti professionali, di amicizia e sopratutto di stima che si creano tra artisti diversi e che in molti casi portano al bisogno e al piacere, appunto, di scambiare reciprocamente una o più opere in segno e a suggello proprio di questa stima.
Attraverso le scelte espositive e le modalità d’allestimento di queste collezioni, gli artisti invitati riescono sempre a raccontare se stessi e a curvare, seppur per un istante, le opere altrui alla propria necessità estetica e di narrazione personale.
Mi piace credere che Michelangelo Consani e Emanuele Becheri si siano conosciuti proprio qui; certamente io, qui, li ho (ri)conosciuti.


 SECONDO GIORNO
 (Michelangelo)

Nel 2019 invitammo Michelangelo al Museo d’Inverno e lui fece dipingere, all’altezza degli occhi, un’alta fascia rossa continua su tutte le pareti. Una lunghissima bandiera senza fine né principio, senza asta e nessun vento ad agitarla. Un immediato e avvolgente orizzonte visivo senza alcuna sfumatura che suggerisse essere l’alba o il tramonto. All’interno di questa fascia appese i pezzi della sua collezione in una sorta di sequenza antigerarchica e l’orizzonte/bandiera mi parve così diventare altro. Le opere, cosi allineate, erano adesso i frames di una lunga pellicola proiettata sulle pareti tutt’intorno. Immaginai fosse il suo modo per ordinare e contenere, almeno visivamente, la traboccante stratificazione di citazioni, di ricordi, di messaggi, di racconti e indizi eterogenei con i quali (e nei quali) Michelangelo, come sempre, si offre e si nasconde a noi.
La fascia rossa si interrompeva solo in concomitanza dei varchi architettonici seppur l’occhio e la mente, in un desiderio inconsio di continuità, completassero la striscia laddove era stato oggettivamente impossibile dipingerla: una finestra che si affaccia sulla terrazza esterna e il passaggio che collega la prima e la seconda sala del museo. Qui, accanto a questo accesso, su una risicata mensola di legno era appoggiata una piccolissima figura in terracotta nera, senza titolo, di Emanuele Becheri.
Ricordo chiaramente -o forse desidero ricordare in modo così forte da rendere il ricordo (e quindi anche il fatto) reale-, la visione prospettica che, inclinando la testa a sinistra, metteva in relazione questa piccola figura nera con il fuoco acceso nel camino nell’altra stanza e l’impossibilità di percepirle nitide entrambe contemporaneamente, come in una foto con bassa profondità di campo. La postura spavalda della scultura, la rotazione del collo come a chiamare a se i ranghi rimasti indietro (nel fuoco?), il braccio alzato come a guidare una rivolta oppure, solitaria, per  lanciare una molotov in avanti, verso di me, e sancire l’inizio di uno scontro con chiunque si fosse soffermato di fronte, fosse anche solo per ammirazione. Una figura cotta nel fuoco, carbonizzata ma non bruciata che adesso, in questa sovrapposizione prospettica di piani spaziali e temporali, sembrava rinascere ancora una volta e all’infinito, dal fuoco.
Uno spirito indomabile, tellurico, ribelle, testimone della fiamma, accaldato, caloroso e quindi anche caldo, folgorante, eroico. Giusto.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               
In quella scultura vi era tanta rivoluzione e insieme tanta poesia, inscindibili come sempre.
Più che rivoluzione vera e propria c’era desiderio di rivoluzione e la poesia, a ben guardare, superava di gran lunga questo desiderio.
Per un attimo lunghissimo fui certo di riconoscervi proprio Michelangelo l’incendiario.


TERZO GIORNO
(Emanuele)

Pochi mesi fa Emanuele scelse un modo completamente diverso per esporre al Museo d’Inverno la sua collezione di opere (tutti autoritratti) che amici e colleghi gli hanno lasciato.
Un registro affilato, aeroso ma non vuoto, minimo ma non minimale. Un allestimento scarno seppur costituito per lo più da elementi fortemente irregolari, storti, materici e grumosi. Sembrava di essere in un atelier fuori dal tempo; più che in un atelier, sembrava di essere dentro la foto di un atelier, in una di quelle in bianco e nero, sgranate, che da sempre mi affascinano nelle monografie degli artisti di fine ottocento o delle avanguardie dei primi del novecento.
Accanto alla finestra della seconda stanza, era appesa l’opera di Michelangelo Consani.
Due cornici identiche, una bianca ed una nera, affiancate. All’interno due larghe pennellate ad inchiostro, circolari ma non concluse.  
Due segni che Michelangelo racconta aver fatto al mattino appoggiando il foglio sulla corteccia di un albero, per verificare l’abilità della mano e l’attitudine dell’animo al lavoro.
Una sorta di gesto divinatorio utile a comprendere la predisposizione giornaliera.
Sembravano i primi segni lasciati dal tergicristallo su un parabrezza sporco, l’impronta calcografica parziale di due vecchi vinili...neri, immobili seppur consci dell’esistenza di un fulcro invisibile  attorno a cui continuare a ruotare all’infinito, senza forza centrifuga, fino alla  consunzione. Mire immobili, cannocchiali impugnati al contrario, vertici di coni cavi osservati dalla base, imbuti d’ossidiana, centri prospettici svelti come i gesti irreplicabili e senza ripensamento del modellato di Emanuele, giusto compromesso tra volontà e accettazione dell’accadere.
Guardai i due segni affiancati di Michelangelo e pensai alla capacità di Emanuele di rendere autoriali e volontarie le variazioni incontrollabili e imprevedibili che la terra, sottoposta alla gravità, all’evaporazione e alla cottura, subisce .
Li guardai ancora una volta e mi parvero gli occhi socchiusi, bianchi e neri, nuovi e antichi, severi e generosi di Emanuele, collaboratore del caso.


EPILOGO
(ad uso del lettore)

Non so quale sia esattamente il motivo per cui Michelangelo ed Emanuele mi abbiano invitato a scrivere in occasione della loro mostra alla Galleria MEVannucci... ma forse non è poi così importante.
Non sono un critico e neppure un teorico, non sono un curatore e neppure un giornalista, mi piace scrivere ma non amo la verità: spero proprio che non si aspettassero questa (o solo questa) da me. Più che la verità, non amo la vera verità, perchè temo che accettandola come tale, si corra il rischio di doverla considerare unica. Preferisco invece le verità personali, multiple, mutevoli, astratte, distorte, parallele e spesso su misura: non vere ma sincere.   
Queste verità cangianti mi aiutano a comprendere meglio il mondo e i suoi riflessi e oggi, da Vannucci, sono certo che (ri)conoscerò ancora una volta Michelangelo ed Emanuele, meravigliosi artisti ed amici con i quali voglio attendere il ritorno di quella antica merla della mia memoria, che da domani, per tre giorni, ci offrirà le sue circolari verità sull’arrivo di un’altra Primavera.


                                                                                   Pistoia, 28.01.2024