Viaggio Inaudito Frosini-Ceni

Viaggio Inaudito Frosini-Ceni

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DAL 03/10/2015
al 27/09/2015

Claudio Frosini e Alessandro Ceni sono autori segnati da un destino. All’interno di esso, tra immagine artistica e segno scrittorio, e in genere tra immagine e parola – pur osservando i due poli una rigorosissima distanza sul piano dello zelo tecnico e nondimeno della partizione esistenziale – sono inevitabili le contaminazioni. Si tratta però di contaminazioni di antica grazia, che rifiutano la barbarie ormai imputridita di certa sperimentazione e di certo energumenico e dimenticabile esibizionismo tres gauche et tres engagè. Esse, al contrario, albergano in un più lucido e profondo sperimentare, quello proprio dello scienziato e del vero poeta, del medico e dell’archeologo, del serioso giocare del bambino e dell’operare, distratto perché esperto, dell’artigiano.

Che Frosini e Ceni, nel loro percorso, si siano da sempre misurati l’uno con l’arte che è propria dell’altro, potrebbe essere fatto contingente e trascurabile. Di sicuro non lo è la profonda icasticità della poesia di Ceni, il suo procedere dal figurabile all’irraffigurabile stressando e incidendo lo scheletro della lingua umana. E di sicuro non lo è la moltitudine di meditazioni linguisticamente segnate che sostanzia la poetica di Frosini, tanto nei suoi trascorsi strettamente pittorici quanto nel suo presente da – non saprei descriverlo diversamente – produttore di opere pittoriche mediante tecnica fotografica.

Entrambi irredimibilmente atei, apolidi e anarchici - non nel segno di un impegno attivo versus divinità, polis e potere, quanto nel segno di una visione del reale che prescinde da essi e li rimuove per intima necessità, metodologica da un lato e destinale dall’altro – ed entrambi conducenti un’esistenza veramente al riparo da ogni retorica pubblicistica, Ceni e Frosini fanno precipitare queste precondizioni fenomeniche ed esistenziali nel nucleo del loro essere artisti.

La natura immortalata dalla poesia di Ceni è nel contempo un sistema di immagini e un complesso giuridico. La sua meccanica non è soltanto evidenza della realtà poetata, ma anche e soprattutto legge interna al poetare. Il reale fissato in opera da Frosini è uno stato fisicamente discreto di questa realtà in continua trasformazione e in inemendabile osservazione delle proprie leggi. Incapace di commuovere ma non di produrre uno choc percettivo, e dunque cognitivo ed emozionale, resistente a ogni ermeneutica e a ogni facile lirismo sentimentale, l’imago dell’opera di Frosini riconsegna alla corte della natura tutto l’esistente. Non si tratta di una natura benevola o malevola, non se ne immortalano né le rasserenanti meraviglie né le più caustiche immagini d'orrore. Perfino la sua motilità non è rappresentata in una simulazione di movimento nella fissità dell’immagine, ma al contrario nel suo deposito percettivo interno, nell’interspazio estetico tra rappresentazione e immaginazione.

In questi mondi, in fondo diversissimi tra loro e proprio per questo capaci di un profondo dialogo, il gesto dell’artista è l’unica cesura concessa, l’unico clinamen. Ed è in questo puntuale spazio di libertà – libertà nel vincolo e non dal vincolo – che l’opera può sciogliere, al di fuori di sé, il suo adagio migliore, il residuo irriducibilmente umano che calca la scena del reale.

Massimo Baldi